di Lorenzo Parolin[L1/55]
All’inizio tutti lavoravano da soli, poi si accorsero che mettendosi in compagnia risparmiavano fatiche e ottenevano di più. In aritmetica uno più uno fa due, ma la natura favorisce la formazione delle società e prevede che uno unito ad uno faccia tre. Il di più, frutto dell’unione, dovrebbe essere riseminato, ma l’egoismo umano vuol mangiare subito quell’utile e magari anche la parte del socio. Ad un certo punto, per evitare che le persone si sbranassero a vicenda, fu necessario scrivere delle regole per convivere: le leggi. Seguiamo per un istante il loro nascere. Tante sono le teste, tante sono le idee; le persone si confrontano e, alla fine, il gruppo più forte o più numeroso impone il suo punto di vista. Così vuole la democrazia: il sistema per la gestione del potere universalmente riconosciuto come il migliore e risultato di secoli di affinamento. Capita però che le minoranze diventino maggioranze e dichiarino cattive delle leggi che fino a ieri erano state buone. È chiaro che, o sbagliava la maggioranza di ieri, o sbaglia quella di oggi (o entrambe), perciò, la democrazia ha il baco in seno che guasta tutto; essa può essere tollerata come male minore, ma deve essere curata come malattia. Le leggi e le democrazie sono un bene perché regolamentano l’istinto a predare, ma sono beni di tipo negativo come gli ospedali che, meno ne servono, maggiore è la salute della gente. Da sempre il potere è partigiano e fa le leggi a suo vantaggio, e chi le deve subire si sente defraudato e reagisce facendo opposizione. Ha luogo un tiro alla fune in cui si dissipano energie enormi da ambo le parti per realizzare, alla fine, cose che qualunque deficiente, provando e riprovando a caso, avrebbe fatto in tempi più brevi e spendendo meno. Se è un gioco si può capire, ma quando diventa sistema è una cosa immonda; eppure tutti continuano ad incensare la democrazia anche quando maggioranze e minoranze arrivano a fare come i bambini che dicono: “Il giocattolo è mio! No, è mio!” E tirano finché lo rompono. A questi livelli non si vede più dove siano i vantaggi dell’associarsi, perché quel poco che si ottiene lo si paga salatissimo. Se guardiamo ai risultati ottenuti dalle democrazie, giudicate i migliori sistemi politici esistenti, vediamo come esse siano pesanti macchine contro l’uomo. Ne hanno pensate tante, hanno imbastito tante cose, ma non hanno aumentato la gioia. Ovunque ci si giri attorno si trova rassegnazione, e dove c’è un po’ di vita impera il degrado. Le parole più ricorrenti tra i politici sono: riformare, rifare, ripensare. La causa di ciò, secondo gli esperti, sarebbe la scarsa partecipazione del popolo al potere, ma quand’anche la democrazia diventasse altamente partecipata e perfetta non potrebbe mai raggiungere la sufficienza, perché, avendo riposto nelle mani del popolo la facoltà di fare leggi e di giudicare su tutto, si è fondata sull’errore. L’uomo si vede al vertice del creato ed è convinto di poter dare alla realtà la forma che più gli piace, ma non tutto ciò che pensa è possibile, perché l’universo ha già le sue leggi. Newton, scoprendo la legge di gravità, non fece altro che capire qualcosa che esisteva da sempre e tradurla in formula. Da allora, applicandola, gli scienziati hanno potuto calcolare le traiettorie dei corpi e rendere possibili i viaggi di astronavi nello spazio e il loro rientro sulla terra con precisione straordinaria. Se qualcuno volesse adoperare una formula più bella o più fantasiosa, ma diversa da quella che combacia con la realtà, lo potrebbe fare, ma sarebbe votato all’insuccesso, qualunque fosse il suo sforzo. In modo del tutto analogo il politico ha il compito di scoprire le leggi che regolano la pacifica e proficua convivenza tra gli uomini e, applicandole, di far funzionare società sempre più complesse con risultati che diano soddisfazione ai governanti e ai governati. Quando l’uomo, per incapacità o per superbia, applica leggi difformi da quelle che dalla notte dei tempi lo riguardano, non può che ottenere insuccessi e provocare danni. L’uomo si è proposto come re dell’universo senza accorgersi che il vero re ha già predisposto tutto con grande precisione. Questo re, per motivi che non conosciamo, se ne sta nascosto e lascia fare, ma solo ciò che è secondo le sue leggi passa. Il mondo è come un enorme buratto i cui buchi hanno forme prefissate. Se l’uomo accetta di assumere quelle forme esce e trova la pace, altrimenti resta dentro a sbattere e a soffrire finché si consuma. “Dunque tu sei re?” Gli domandò Pilato. Gesù rispose: “Tu l’hai detto, io sono re …, ma il mio regno non è di quaggiù.” (Gv. 18,36) Cristo si è dichiarato re di un regno che in buona parte non è visibile all’uomo, ma ha annunciato che quel regno può crescere ad opera dell’uomo e che da quella crescita l’uomo può trarre utili e soddisfazioni enormi. Le sue leggi Dio le ha nascoste dove chiunque le potesse scoprire con poca fatica: nel cuore di ogni uomo, ma perché non restassero dubbi, un bel giorno le ha anche proclamate in chiaro per bocca di suo figlio che a riguardo dei politici disse: “Voi sapete che i capi delle nazioni le governano da padroni, e i grandi esercitano il potere sopra di esse. Ma tra voi non sia così; al contrario, chi vorrà tra voi diventare grande, sarà vostro servo.” (Mt. 20,25) Gesù ha sconvolto e capovolto il modo di pensare corrente dichiarando che servire è meglio che comandare. Infatti, in un reame dignitoso, il re ha bisogno solo di bravi esecutori, perché è lui che emana le leggi, impartisce ordini e si erge a giudice, e più un servitore è fedele più riceverà incarichi importanti, onori e ricompense. Nello stesso reame, uno che voglia comandare deve mettersi contro il re e, se non riuscirà a competere con lui in forza, sarà presto bandito dal regno e punito. In questo nostro mondo ognuno si è ricavato il suo piccolo feudo, dove dettare legge al riparo da giudici e da punizioni. Ma non c’è da preoccuparsi; quel re che sta nascosto ha fatto le cose sapientemente: ha stabilito che un’azione conforme alla sua legge produca frutti buoni e che una difforme dalla sua volontà dia frutti cattivi. Egli ha inglobato la sua legge e il suo giudizio in ogni azione, così che ogni scelta diventi per tutti un auto premio o un’auto punizione. L’uomo conosce tre momenti distinti: fare le leggi, applicarle e giudicare le trasgressioni. Nelle cose stabilite da Dio questi tre momenti sono concentrati in uno. Ogni azione perciò, anche se in modo non immediato ed evidente all’osservatore, rende giustizia a sé stessa, e ognuno, scelta dopo scelta, si crea il suo destino. Per uno che sia attento non servono né leggi esterne né giudici, perché la legge la trova dentro di sé e la giustizia la trova negli esiti delle sue azioni. Gli uomini di potere e le maggioranze, incuranti della legge eterna, fanno le leggi di testa loro, le dichiarano degne di rispetto ed inviolabili, e chiamano giustizia il farle rispettare con la forza, arrivando persino ad uccidere per punire i trasgressori. L’idea della superiorità e della sacralità delle leggi è buona, ma come può una legge, uscita dall’uomo, avere una dignità superiore all’uomo stesso, tanto che egli debba ad essa sottostare? Come può un frutto essere superiore alla pianta? Se invece l’autore della legge fosse un Dio, la superiore dignità sarebbe assicurata e sarebbe un onore per l’uomo servire quelle leggi. Emerge chiaramente l’importanza di sondare le leggi divine prima di azzardarsi a scrivere quelle umane. Le leggi umane hanno lo scopo di rendere esplicito ciò che si percepisce vagamente essere la verità e sarebbe da sciocchi inventare una verità a proprio piacimento, perché non reggerebbe alla prova dei fatti e condurrebbe al fallimento. Ci vuole una fase prepolitica durante la quale guide abili lavorino l’uomo al cuore, per renderlo umile, desto e virtuoso, prima di consentirgli di fare scelte che incidono su tutti. Lavorare al cuore dell’uomo non è estraniarsi dalla società, ma lavorare al cuore della società. Ma perché le persone dovrebbero occuparsi di politica con spirito di servizio ancor prima di curare i propri interessi? Poniamo di conoscere un compratore, un venditore, un progettista, sei bravi a produrre e uno bravo a dirigere. Se ciascuno lavorasse per conto suo, essi sarebbero efficienti nella loro specialità, ma carenti in tutte le altre. Messi invece insieme con spirito di collaborazione, ciascun socio riceverà utili di molto superiori a quelli che avrebbe potuto ottenere lavorando da solo. Se l’intera società civile facesse come le nostre dieci persone, le soddisfazioni e i benefici ai partecipanti sarebbero inimmaginabili. Il proprio massimo utile non si ottiene curando l’interesse individuale, ma servendo l’interesse comune. La formica non è da più dell’uomo, eppure, ubbidendo all’istinto, riesce ad organizzare una vita sociale e a fare costruzioni che nessun politico e nessun architetto sarebbero capaci di realizzare tra gli uomini. La perfezione e l’ordine del formicaio non è merito della regina o delle formiche soldato o di quelle operaie, ma dipende dal fatto che ciascuna formica fa quello che sa fare bene ogni volta che serve, senza che un superiore glielo ordini e senza guardare se la vicina fa di più o di meno. Ciascuna formica, seguendo la sua legge interna, sa sempre che cosa, come e quando fare e, alla fine, i risultati si vedono e sono sorprendenti. Anche sull’uomo soffia una legge: essa prescrive servizio e amore verso tutti e da sola sarebbe capace di costruire una società sana, pacifica, progredita, giusta e appagante, ma l’uomo (avendo voluto conoscere il bene e il male) è libero di non seguirla e, facendo di testa sua, ha ottenuto i risultati deludenti che conosciamo. Più aumenta il progresso più aumenta la specializzazione dei singoli e più l’uomo ha bisogno di fidarsi ed affidarsi agli altri e di mettere in comune le abilità. Ma le attuali miopi forme di potere e i rapporti umani, basati sull’egoismo, non sono sufficienti a rendere governabile il sistema. Troppe sono le contraddizioni che emergono, troppe le disarmonie, le inefficienze, i fallimenti e le sofferenze che generano. Per evitare il collasso della società l’uomo sarà obbligato a scegliere le leggi eterne come le uniche capaci di tenere insieme ordinatamente tante persone. Speriamo che lo capisca! prima di farsi troppo male. Il regno di Dio non è il perfezionamento della democrazia, neanche se fosse cristiana, perché è il concetto di potere riconosciuto al popolo che non funziona; il potere appartiene al Re e al popolo si addice solo l’organizzazione del servizio. Coloro che si affannano a risolvere i problemi dell’uomo con le loro teorie di destra, di sinistra o di centro sono dei novelli Sisifo destinati a vedere vanificati i loro sforzi. La politica è l’arte di organizzare la soddisfazione di tutti i cittadini senza scontentare nessuno. Questa organizzazione umana prevede poche persone al vertice che fanno programmi su intere nazioni. Man mano che il numero di persone da controllare aumenta e più le persone da accontentare sono eccentriche, la complessità del problema ingigantisce e la pianificazione spreme così tante energie dalla comunità da diventare un peso insopportabile. Se poi qualcuno non collaborasse al progetto o lo sabotasse, il compito diventerebbe impossibile, anche usando la forza. Vale a dire che il sistema formato da uomini ambiziosi ed egoisti non è governabile nemmeno se a dirigerlo ci fossero le teste migliori e i computer più potenti. La politica, intesa come partiti che vogliono indirizzare la storia a colpi di maggioranza, non ha futuro, e il popolo, quando aprirà di più gli occhi, dovrà sopprimerla. A dispetto di tutte queste difficoltà, ci sono regole semplici che sono in grado di creare ordine partendo dal basso. Esse aggregano le azioni secondo un piano la cui grandiosità sfugge e supera le capacità dell’uomo. È inutile dire che queste regole non sono di invenzione umana, anzi, sono opposte al pensiero dell’uomo. Esse prescrivono sempre e solo amore e servizio al prossimo. Per dirla con un altro paragone infimo, il grande progetto assomiglia ad un castello gonfiabile, irriconoscibile da sgonfio, ma già formato perfettamente. Non serve che aria, semplice aria e non altro, perché prenda forma, ma ogni soffio deve sapere di amore e di servizio. Se l’uomo vuol farsi male proceda pure come sta facendo, ma se gli preme gustare la gioia di essere uomo deve inchinarsi davanti alle leggi eterne e servirle. Allora le sue opere avranno la potenza necessaria per far crescere il Maestoso Formicaio senza progetto alcuno. L’ordine tra le formiche non parte dalla testa della regina o da quella delle sue aiutanti, ma dall’interno di ciascuna di esse, e si auto sviluppa perché ciascuna esegue ciò che sente dentro. Come tra le formiche ci sono soggetti più in evidenza, che danno indirizzo alla colonia, così i politici restano di somma importanza per la crescita ordinata della società. Essi, a differenza delle formiche capo, che sono così per nascita, devono essere formati ed incaricati. Il Re lascia che siano i sudditi stessi a designare come loro capi i servitori più capaci e fedeli, e se scelgono male sarà peggio per loro. Le persone dunque non si auto propongano, ma vengano indicate dal basso, e nel caso risultassero elette dalla maggioranza non avrebbero motivo di gioire, perché sarebbe toccato loro un onere in più. Il principio di maggioranza deve essere usato per convincere qualcuno ad accettare un incarico gravoso e non per decidere che cosa è bene e che cosa è male (fare leggi e comandare), come si fa troppo spesso e con troppa disinvoltura. È fuori discussione che la politica debba essere fatta dai migliori e non dagli omiciattoli superbi e inconcludenti, bravi solo ad agitarsi e a curare i loro interessi. Alla politica servono uomini preparati, pratici, con esperienza, animati da spirito di servizio, disinteressati, efficienti, flessibili, fantasiosi, autonomi, pazienti, capaci di ascoltare la gente, pronti a mollare appena spunti qualcuno più capace di loro. La politica è una forma alta di volontariato e richiede allenamento alla gratuità del servizio, e se l’incarico è alto, uno dovrebbe fare anche voto di povertà, per fugare il dubbio che a muoverlo sia l’interesse personale. L’onore di essere designati a servire in alto è già una ricompensa. Non è l’arricchimento personale a soddisfare pienamente l’uomo, ma il fare la propria parte di lavoro di trasformazione della società in una famiglia in grande, dove chi guadagna di più aiuti volentieri chi guadagna di meno, chi è ammalato o vecchio venga curato da chi è in forze, dove le autorità siano severe con i lazzaroni e li puniscano, ma con amore, come farebbe un padre. Chi abbia vissuto in una famiglia sana può capire che cosa significhi farne parte e sa come i sacrifici fatti scompaiano di fronte alla gioia e alla sicurezza che si respirano in essa. Oggi siamo lontani dalla mentalità giusta, non solo per la società vista come grande famiglia, ma per il concetto di famiglia stessa, che sta scomparendo. Si sta impoverendo e distruggendo una istituzione essenziale e ciò porterà questa società al collasso. Serve molta pre-politica per formare persone capaci di rifondare la società sulle ceneri di quella che si sta consumando. Chi abbia desiderio di fare e si senta solo e impotente, non abbia paura: accenda la sua candela e osservi come una fiammella, in un luogo buio, già rompa le tenebre. Quando uno si trovi a contatto tutti i giorni con i superbi, con i cattivi e con i delinquenti, che cosa deve fare? Opporsi frontalmente chiodo contro chiodo costringe a diventare come loro e non va bene; rassegnarsi alla loro presenza e barricarsi per quieto vivere fa perdere la propria libertà e permette loro di dilagare; non resta che fare una opposizione ferma e a viso aperto, denunciando coraggiosamente le cecità e le malefatte, non con spirito di vendetta o con l’aria del giudice, ma con gentilezza e con lo scopo di raddrizzare, reagendo bene contro male, essendo disposti a patire umiliazioni e danni, e salvando ciò che di buono c’è in ognuno di loro. Applicando il principio della non violenza, la canaglia sarà indotta a trasformarsi e sarà una vittoria per tutti: del non violento, perché avrà trasformato, e della canaglia, perché avrà imboccato una strada migliore. Sembra proprio che non ci sia futuro per una società che non attinga alla fonte eterna; significa forse che i preti dovranno dettare legge? No, nessuno ha il monopolio della verità, anche loro sono servitori della Legge, e il loro compito è di tipo prepolitico, cioè di illuminare con la parola e con l’esempio, affinché i cristiani diventino cittadini capaci di fare scelte che non siano in contrasto con la legge eterna.